Chi ha già letto Testi che parlano, sa che amo un imprenditore. Lo amo di un amore che è un mix di stima, ammirazione, “invidia”. Il suo nome è Richard. Richard Branson. Sir Richard Branson.
Richard Branson è il più grande creatore di brand del mondo e questo numero di Brand con Personalità è tutto dedicato a lui. Aspetta, aspetta, aspetta: mi conosci e sai che renderò tutto utile e piacevole, quindi continua a leggere: ti assicuro che avrai voglia di riaprire questa email anche domani mattina.
La short bio di Richard
Che mente geniale, che verve, che intraprendenza!
Questo trittico di esclamazioni è per l’imprenditore più vivace dei nostri tempi, sul quale mi dilungherò un po’ perché da dire, scoprire, svelare c’è davvero di tutto e di più. Richard Charles Nicholas Branson, meglio noto come Richard Branson, nasce nel Regno Unito nel 1950.
Durante il periodo scolastico non brilla granché: sembra svogliato, disattento, pigro e lascia gli studi a 15 anni. Ma è proprio vero: il successo di una persona non è per forza legato al suo percorso accademico. E questo Richard lo sa bene (come lo sapeva bene anche Steve. Steve Jobs). Soffre di dislessia, una patologia all’epoca poco conosciuta. In realtà, non ha mai vissuto questo disturbo specifico dell’apprendimento come un ostacolo. Anzi.
Nel sito Virgin.com si legge: “Richard Branson made Virgin. But dyslexia made Richard Branson”.
E, ancora, in una sua dichiarazione: “La dislessia è stata un aiuto fondamentale per me; mi ha forzato a pensare in modo creativo e laterale, due fattori cruciali che mi hanno permesso di creare la Virgin e costruire un brand globale”.
A 16 anni fonda un giornale scolastico, Student, che dopo aver riscosso consensi nel college inizia a raccoglierne a piene mani anche al di fuori. La madre sovvenziona il suo progetto con 4 pound e il giovane inizia a lavorare alacremente: intervista musicisti, politici e ottiene importanti sponsorizzazioni. Nonostante il successo editoriale, la passione più grande del ragazzo resta la musica. Assieme all’amico Nik Powell e ad altri soci, decide di affittare un magazzino e nel 1970 si lancia nel mondo imprenditoriale con un’idea tanto semplice quanto geniale: vendere dischi e nastri cassetta per corrispondenza. L’attività dei ragazzi prenderà il nome Virgin, a sottolineare il loro essere del tutto digiuni di imprenditoria.
Piccola curiosità: la Virgin per un attimo ha rischiato di chiamarsi Slipped Disc. Chissà se il destino del marchio sarebbe stato diverso con un nome così. Secondo me sì.
Dopo solo due anni il team di soci apre in un sottoscala la Virgin Records, oggi una delle etichette discografiche più famose del mondo. Nel 1973 arriva il successo, con l’album Tubular Bells di Mike Oldfield, che venda circa 5 milioni di copie. Dopo di lui verranno messi a contratto celebri nomi del panorama musicale come i Sex Pistols, i Culture Club, i Simple Minds, i Rolling Stones. Solo per citarne alcuni.
Negli anni successivi il brand si amplia e diversifica, coprendo i settori più disparati: dai viaggi (Virgin Atlantic ti dice niente?), persino nello spazio (Virgin Galactic) all’intrattenimento, dalla salute al fitness (scommetto che anche Virgin Active ti dice qualcosa), dalla comunicazione (Virgin Media) al settore bancario, il gruppo Virgin diventa tentacolare pur mantenendosi aderente al 100% alla natura originaria del marchio.
Proprio come il suo fondatore, Virgin è un brand insaziabilmente curioso. Punta a sorprendere e a far vivere esperienze uniche mantenendo sempre al centro le persone, siano esse collaboratori o clienti, valorizzandole al massimo. Sul serio.
Qualche “segreto” da portarci a casa
Nel libro Business the Richard Branson Way, Des Dearlove ha raccolto i 10 segreti del più grande creatore di brand, ma io ti parlerò solo dei primi 4, perché il libro vale la lettura:
Scegliere un concorrente grande.
Avere come punto di riferimento un “big guy”, come lo definisce l’autore del libro, aiuta a pensare in grande, ad adottare un atteggiamento battagliero. A fare di più.
Essere anticonformisti.
Richard Branson è passato dall’essere un figlio dei fiori al figlio di qualsiasi altra epoca, dimostrando una grande capacità di adattamento e di innovazione. Si differenzia dalla massa per il suo stile casual, là dove le regole imposte dalla società richiederebbero formalità. Uno dei suoi consigli ricorrenti è questo: difendere le proprie idee, fregandosene delle regole che governano lo status quo.
Negoziare tutto, il più possibile.
Per il fondatore di Virgin, se l’interlocutore risponde “no”, in realtà sta dicendo “forse” per cui, con gentilezza e charme, possiamo provare (anche noi) a scardinare le sue posizioni. Niente è davvero fermo e inamovibile come sembra. Almeno stando alla visione di Sir Richard.
Divertirsi e accertarsi che lo facciano anche i collaboratori.
Le persone, come abbiamo già visto, sono al centro di Virgin. Se per esempio l’azienda vince una causa di diffamazione, i soldi del risarcimento vengono suddivisi equamente tra tutti i collaboratori. Da loro Virgin riesce sempre a ottenere il massimo perché la politica aziendale li aiuta, in modo naturale, a tirar fuori il meglio di sé: gli dà responsabilità, gli permette di essere autonomi nelle decisioni importanti, gli dà modo di esprimere il proprio estro, la propria creatività.
Virgin insegna alle persone a ridere, a divertirsi e – tanto per dirne una – un appuntamento con un finanziatore importante può trasformarsi in una informale nuotata in piscina. Il primo a non prendersi troppo sul serio, a essere autoironico e accessibile è proprio il “boss”. Richard Branson, infatti, è conosciuto per la sua genuinità e la sua incontenibile simpatia. Qui è quando ha scoperto che un impiegato della Virgin Australia stava schiacciando un pisolino (era in pausa).
Ti stai chiedendo come mai in Brand con Personalità ho voluto dare spazio a una persona? Ti rispondo subito.
Michael Beverland, autore del libro Building Brand Authenticity: 7 Habits of Iconic Brands, afferma che i brand autentici sono tutti rappresentati da leader appassionati dei loro prodotti e servizi, coinvolti in qualsiasi decisione che riguardi la propria azienda e impegnati nella tutela di un patrimonio che affonda le sue radici nella tradizione.
Credo anche io, come il professor Beverland, che i leader e le leader dell’azienda giochino un ruolo cruciale nel comunicare al mondo l’essenza, autentica, del proprio marchio. Sono i migliori portavoce in assoluto del brand e nessun testimonial al mondo potrà mai eguagliare la loro potenza comunicativa ed espressiva.
Nella stragrande maggioranza dei casi, quando parliamo di “leader” facciamo riferimento anche alle persone che hanno fondato l’azienda. Se penso a degli esempi attuali di leader capaci di trasmettere autenticità, be’, in cima al mio elenco c’è Richard Branson. Ma adesso, su, a nanna.
Un sorriso,
da me