Quanti brand, grandi e piccini, mi capita di scoprire tramite Instagram… Oggi ne analizzerò uno decisamente colorito che ho scovato un paio di giorni fa.
Prima di iniziare la mia disamina, però, ti abbraccio forte: macciao!
Sono stata assente, qui su Substack, per tanto tanto taaanto tempo. Non mi dilungherò oltre sulla faccenda, ma ci tengo solo a dirti che tornerò a pubblicare, di quando in quando, senza però la pressione dell’impegno settimanale – che non riesco proprio a gestire.
Chiusa questa parentesi, posso presentarti il nuovo brand con personalità. Se tu ci sei, io ci sono. Daje!
Il ristorante romano senza filtri
Volgare o verace?
Questo mi sono chiesta quando mi è apparsa nel feed una sponsorizzata di Viè da zia.
Non era questa, ma il tenore era il medesimo.
Le mie antenne di brand strategist si sono subito rizzate e così ho cliccato sul profilo e l’ho navigato. La titolare, “zia” appunto, parla così: senza filtri, condendo il suo linguaggio non solo di dialetto romanesco ma anche e soprattutto di parolacce.
Chi è di Roma, ma non solo i romani, conosce sicuramente uno dei primi ristoranti che su parolacce e insulti ha costruito il suo impero. Cencio la Parolaccia, nella zona di Trastevere, è dal 1941 che “intrattiene” i suoi avventori in modo a dir poco… folkloristico. Non è quindi la prima volta che trivialità e coloriture entrano in un ristorante capitolino.
Zia Irene le ha persino portate sulle tovagliette di carta. Ehm…
Ma che tono di voce è mai questo?
La risposta a questa domanda la possiamo trovare nel mio termometro del tone of voice.
Il tono di voce utilizzato da Irene, la titolare, per rappresentare il suo locale, si colloca senza ombra di dubbio all’ultimo livello del termometro, nella sezione “Colorato”, ed è “aggressivo”. Come spiego nel mio libro, Testi che parlano, “aggressivo” non va inteso in senso letterale: sotto quest’egida rientra infatti un linguaggio che può essere duro, acuminato, sarcastico, triviale. E se non è triviale il ToV di Viè da zia, be’ non saprei proprio quale lo sarebbe…
Adesso la domanda è un’altra: questo tono di voce funziona, nel senso di crea legame, o allontana?
Funzionale o respingente?
E torniamo in qualche modo alla domanda che mi ero posta intercettando la sponsorizzata: volgare o verace? Questo quesito riguarda più la percezione che, di questa comunicazione così spinta, può avere il pubblico. L’altro, più legato invece al ToV usato, è “funzionale o respingente”?
Come tutti i toni colorati, anche quello di Viè da zia è polarizzante. E lo capiamo anche leggendo diversi commenti (es. “Questa è volgarità gratuita”). Al netto della polarizzazione, che può essere la strategia più vecchia di me del “purché se ne parli”, un linguaggio sboccacciato e senza filtri può dare anche l’idea di naturalezza, veracità, spontaneità e quindi essere associato, per effetto alone, a valori positivi da chi non si scandalizza di fronte a sequele di ca**o, cogl****, rincogl*****, mort***i tua e compagnia bella. Occorre poi considerare il massiccio uso di sponsorizzate, che tendono a intercettare il pubblico col solo filtro della geolocalizzazione: il linguaggio funge da filtro per selezionare le persone più in linea col posizionamento (cucina tradizionale romana a prezzi onesti e atmosfera famigliare) e con determinate modalità di espressione (in seconda battuta).
Io non credo, in tutta onestà, che la titolare parli in quel modo agli avventori. Credo piuttosto che il suo registro sia funzionale all’hype social. Quest’è. Curiosa, sono quindi andata a vedere anche le recensioni su Google, alla ricerca di una continuità che mi aspettavo di trovare in termini di comunicazione e tone of voice.
In effetti, la continuità c’è. Ma non ci sono più le parolacce; restano solo il romanesco e la genuinità. Per correttezza e completezza, devo dire anche che ho trovato delle recensioni negative, che lamentavano lunghi tempi di attesa, scarsa qualità del cibo e un’accoglienza non in linea con le aspettative. Ecco, su quest’ultimo aspetto credo valga la pena spendere due parole in più.
Come dicevo poco fa, un tono colorato come quello di Viè da zia richiama valori positivi e le persone si aspettano di ritrovarli dal vivo, quando da pubblico social diventano clienti del locale. Il vero problema, quindi, alla fine della fiera, sta qui: mantenere coerenza non solo nel linguaggio ma, prima di tutto, nella trasposizione in azioni dello stesso. Perché un piatto mal riuscito forse si può perdonare, ma un’accoglienza disallineata rispetto alle attese – che le sponsorizzate contribuiscono ad alimentare – no.
Tu cosa ne pensi? Commenta e dimmi la tua.
Ma adesso, però, a nanna.
Un sorriso,
da me
e